Maria de Buenos Aires

Il caso è piuttosto raro, nel campo musicale, di un creatore che riesca ad avere un ruolo cruciale in due “generi” diversi: è anche per questo che si può parlare di Astor Piazzolla come di un genio. Mai egli ha esplicitamente cercato di rivaleggiare con il suo maestro Alberto Ginastera, ma, pur dichiarando di restare ancorato al genere del tango argentino, ha scritto musica che trascende la dimensione popolare per innalzarsi a vette artistiche – com’è il caso dell’opera-tango Maria de Buenos Aires. La sua posizione, fra i compositori argentini, non è molto diversa da quella occupata da Gershwin fra gli americani.
Nato a Mar del Plata l’11 marzo 1921, Piazzolla seguì la sua famiglia, tre anni più tardi, a New York, dove cominciò a suonare il bandoneon. A circa vent’anni tornò in Argentina, dove studiò seriamente con Ginastera, continuando però al contempo l’attività di bandoneonista nella formazione “popolare” di Anibal Troilo. Poco dopo costituì la sua propria orchestra e iniziò a cimentarsi nella composizione e nella direzione d’orchestra, la prima a Parigi, sotto la guida di Nadia Boulanger, la seconda in Germania, con Hermann Scherchen. L’influenza di Nadia Boulanger, in particolare, fu determinante e lo spinse ad approfondire la sua vocazione compositiva.
Piazzolla tuttavia mantenne sempre viva l’attività esecutiva, fondando dapprima un quintetto, poi un ottetto e quindi un orchestra d’archi, con la quale intraprese una serie di tournée nelle università dell’Argentina e poi, a partire dal 1960, in tutta l’America latina. Il repertorio dell’orchestra veniva fornito in gran parte dalla penna di Piazzolla stesso, anche grazie alla sua facilità nel creare melodie originali, che ben presto attrassero anche l’attenzione del mondo dei produttori cinematografici e dei direttori di Teatri. Fra i tanti lavori, vanno ricordate le musiche per alcuni spettacoli del regista teatrale Alfredo Arias (Famille d’artistes) e per diversi film di Fernando Solanas (Tangos – L’esilio di Gardel; Sur). D’altro canto, Piazzolla compose anche musica che si pone sulla linea del sinfonismo classico, come la Sinfonia Buenos Aires (che gli valse il premio Fabien-Sevitzky), la
Sinfonietta, i Movimenti sinfonici (eseguiti in prima assoluta da Paul Kletzki nel 1963), la Rapsodia Portena, che spopolò negli Stati Uniti.
La difficoltà di collocare unilateralmente la sua opera è più che mai evidente nel geniale ibrido di Maria de Buenos Aires (1968), primo esempio di opera-tango, scritta in collaborazione con il poeta Horacio Ferrer. Tale lavoro teatrale, da cui oggi ascoltiamo una selezione, portò a Piazzolla una celebrità che i suoi connazionali (nemo propheta in patria!) gli contestarono, a causa del volto nuovo – a tratti influenzato dal surrealismo e dalle avanguardie musicali – che egli osò conferire all’intoccabile tradizione nazionale del Tango.
La vicenda di Maria de Buenos Aires si apre nel momento in cui si sveglia la Congrega della notte di Buenos Aires. Un Goblin, che parla il gergo oscuro e cabalistico di quell’ora, evoca l’immagine di Maria. L’immagine si identifica con il dolce tema del tango. Un ragazzo di strada di nome Porteño Gorrión dipinge María La Niña nel quartiere. Racconta della notte in cu i lei se ne va e la predestina a sentire, per sempre, la sua voce maschile disprezzata nella voce di tutti gli uomini. Silenziosa e allucinata, Maria attraversa la città e tutto il suo essere è transustanziato in una rosa che indossa sulla scollatura. Maria spunta improvvisamente dall’asfalto alle 17 di un pomeriggio di gennaio. E mentre cresce e si apre, La Voce delle Bocche di Tempesta ripete questa frase: “per sette ore quella rosa sarà fonte di beatitudine per tutti”. Passato questo tempo, sarà fonte di dolore. Ogni gruppo di uomini e donne di Corrientes e di Esmeralda rivendica poi per sé il possesso della rosa. A mezzanotte, il Bandoneon ruba la rosa. Recuperando la sua forma femminile, Maria canta poi la sua conversione al male e, nel profondo della notte, danza quella consacrazione alla vita oscura come narcotizzata dal ritmo sensuale dell’Esquerzo Yumba con cui El Bandoneón la sprona.
Anche El Duende è drammaticamente coinvolto nella storia che racconta: cerca e affronta il Bandoneon; si toglie la sua maschera romantica e convenzionale e rivela il maligno che ha dentro, accusandolo dello svilimento di Maria.
Nella seconda parte dell’opera, Maria scende nell’inferno delle fogne, dove i Vecchi Ladri e le Vecchie Dame la aspettano e la ricevono. Lì, il Vecchio Ladro Maggiore condanna l’ombra di Maria a tornare nell’altro inferno – quello della città e della vita – e a vagare eternamente perseguitato e ferito dalla luce del Sole. Poi, davanti al corpo di Maria, i Ladri e le Dame dicono al Vecchio Ladro Maggiore che il suo cuore è morto. Il Folletto racconta il funerale che le creature della notte fanno per quella prima morte di Maria, portando il suo corpo senza vita attraverso la città addormentata.
Una volta che il corpo è sepolto, inizia una lunga Via Crucis. L’Ombra di María scrive una lettera agli alberi e alle ciminiere del quartiere. Smarrita nel suo stesso enigma, arriva in uno strano circo gestito da Los Analistas. In questo circo dove il rimorso, i complessi e gli incubi si incarnano in
salti spericolati, l’Ombra fa la piroetta per strappare via alcuni ricordi che non ha, stimolata da El Analista Primero. Quest’ultimo, incapace di interpretare il ricordo di un’ombra, la crede preda di una strana follia. L’Ombra di Maria, grottesca e solitaria, continua la sua marcia verso il nulla. Ubriaco del suo stesso dolore e perdendo le tracce dell’Ombra di Maria, El Duende comincia a chiamarla mentre giace nella lattina di un bar assurdo. E le manda un messaggio disperato che la spinge a scoprire, nell’inspiegabile profondità delle cose più semplici, il mistero del concepimento. Gli amici dei burattini dell’Elfo, cappellani, angeli di argilla cotta, discepoli, cercano il germe di un figlio per l’Ombra di Maria. È finalmente raggiunta dal richiamo del Goblin. E mentre le latitudini incantate e intime della città appaiono intorno a lei, abbraccia la rivelazione della fertilità fino alla follia.
Poi, nell’alba malinconica di una domenica di Buenos Aires, El Duende e Una Voz avvertono, a poco a poco, qualcosa di diverso da ciò che accade ogni domenica. E lo trovano quando vedono L’Ombra di María sull’alta impalcatura di un edificio in costruzione: sfidando la luce del sole, fa una frenetica danza di gravidanza soprannaturale da cui, finalmente, nasce un bambino. Ma guardando questo, i Re Magi indicano un fatto sconvolgente: dall’Ombra di Maria – redenta dalla sofferenza e da un’ombra vergine – non è nato un Gesù Bambino, ma un’altra Maria Bambina. E tutti gridano con stupore: è la stessa Maria, già morta, che è risorta dalla sua Ombra, o è un’altra? È tutto finito o è appena iniziato? Quello che stiamo vivendo oggi o è ieri? Ma né El Duende né nessun altro possono più rispondere a questa domanda.

Gaspar Cassadó – Requiebros

Nato a Barcellona nel 1897, Gaspar Cassadó fu un grande violoncellista e compositore catalano. Suo padre, Joaquim Cassadó i Valls, era maestro di cappella alla Basílica de la Merced (Barcellona). Sua madre, Agustina Moreu i Fornells, era di Mataró e sorella di Pepita Moreu, amore impossibile di Antonio Gaudí. Gaspar Cassadó iniziò a studiare musica all’età di cinque anni con suo padre e a sette anni iniziò a prendere lezioni di violoncello con Dionisio March, dalla stessa Cappella della Merced che suo padre dirigeva. All’età di nove anni, tenne un concerto a cui assistette, per coincidenza, Pau Casals, che gli propose immediatamente di prendere lezioni da lui. La città di Barcellona gli diede una borsa di studio per poter studiare con Casals a Parigi. Si trasferì lì nella Ville Lumière con il padre e il fratello maggiore, Agustí, violinista.
Il talento del giovane Gaspar gli aprì le porte degli ambienti musicali di Parigi, dove prenderà lezioni di armonia e composizione con Maurice Ravel e godrà dell’amicizia dei compositori Manuel de Falla e Alfredo Casella e del pianista Ricardo Viñes. Cassado fu il il violoncellista che studiò più a lungo con Casals. Nel 1914 scoppiò la prima guerra mondiale e suo fratello Agustí morì vittima di un’epidemia. Gaspar tornò a Barcellona e cominciò a dare concerti con le principali orchestre spagnole. Dal 1918 si esibì anche in Francia e in Italia, grazie all’amicizia con Casella. Dal 1922 in poi iniziò a presentare le proprie composizioni, sia per violoncello sia di musica sinfonica, da camera e corale. Ricca anche la produzione di trascrizioni per violoncello. Negli anni Trenta si trasferì a Firenze. La sua carriera subì un declino irreparabile dagli anni della seconda guerra mondiale, soprattutto a causa di una famosa lettera pubblicata dal suo ex insegnante Casals sul New York Times che lo accusava di collaborazionismo con i regimi fascisti e chiedeva che egli non potesse più suonare nei paesi alleati. Dal 1946 è stato professore all’Accademia Chigiana di Siena e dal 1958 alla Staatliche Hochschule für Musik di Colonia. In quello stesso anno fu co-fondatore del “Curso de música española Música en Compostela” a Santiago de Compostela. Nel 1966 Cassadó andò a fare un tour di raccolta fondi dopo l’alluvione di Firenze. Morì per un infarto a Madrid nello stesso anno.

Requiebros, uno dei lavori più noti del compositore, fu scritto nel 1931. È una composizione breve, con un forte carattere spagnolo. Requiebros significa “galanteria”: è un termine che ritroviamo in altre composizioni di autori spagnoli (per esempio Granados nelle sue Goyescas) e che evoca un
Settecento iberico completamente rivisitato dall’ottica romantica. Il linguaggio di Cassadó è eclettico: vi troviamo stilemi ottocenteschi, numerosi riferimenti all’idioma musicale popolare iberico e al flamenco, ma anche concatenazioni armoniche che sembrano mutuate da Debussy.
L’incipit Allegro con moto è appassionato, pieno di fantasia e accenti veementi; a esso fa da contraltare un motivo più dolce e amabile, a cui segue un “Moderato risoluto” energico e volitivo. Le figurazioni di accompagnamento richiamano talvolta silemi sincopati chitarristici (gli stessi utilizzati per esempio da Granados nella sua celebre Andaluza). Nonostante sia possibile individuare dei motivi-chiave, la struttura è molto fluida, quasi improvvisatoria, come evidente dall’ampia cadenza solistica, quasi una “danza rituale” del violoncello, virtuosistica e ipnotica. Un nuovo tema “con sentimento” appare, poi il brano si chiude con pathos appassionato, com’era iniziato.

Manuel de Falla – El amor brujo

El amor brujo (L’amore stregone) di Manuel De Falla è originariamente una “gitaneria musicale”in 16 scene per orchestra da camera e cantaora (cantante di flamenco); è una pantomima danzata con dialoghi e canti il cui spirito è vicino all’Histoire du soldat di Stravinsky. Falla la compose su richiesta di Pastora Imperio, allora considerata una delle più grandi ballerine di flamenco. L’opera fu presentata per la prima volta il 15 aprile 1915 al Teatro Lara di Madrid, con Pastora Imperio nel ruolo principale, ma non riscosse alcun successo. L’organico originale prevedeva: cantaora e parti
parlate, flauto (e ottavino), oboe, corno, corno, cornetta, campane, pianoforte, due primi violini, due secondi violini, due viole, due violoncelli e contrabbassi. Nel 1916 Falla rielaborò profondamente l’opera, adattandola a un ensemble sinfonico con mezzosoprano. Cancellò le parti dei dialoghi e conservò solo tre parti cantate. La prima si svolse a Madrid il 28 marzo 1916 con l’Orchestra Sinfonica di Madrid diretta da Enrique Fernández Arbós.
Nel 1925, El amor brujo si trasforma in un balletto a partire dalla medesima partitura orchestrale, ma alcune parti vengono eliminate, tra cui il canto dell’amore doloroso. Il compositore sostituisce le parti cantate nella danza del gioco d’amore e nel finale con gli strumenti. Questa versione fu resa
popolare dalla compagnia di balletto “La Argentina” a Parigi nel 1928. Esiste infine anche una versione per pianoforte solo, che Falla elaborò a partire da quattro movimenti della Suite.
Nell’Amor Brujo, Falla unisce diversi elementi: da un lato, l’esperienza delle avanguardie parigine, e in particolare dello spagnolismo musicale filtrato attraverso la sensibilità raffinatissima di Ravel (Rhapsodie espagnole) e Debussy (Iberia); dall’altro, ancora più importante, la riscoperta del
folklore primitivo andaluso e soprattutto del cante jondo (canto profondo), nel quale il suo maestro Felipe Pedrell aveva rintracciato le radici più autentiche del patrimonio musicale popolare spagnolo.
La protagonista della vicenda è Candelas, una giovane donna, bella e appassionata, che ama un gitano malvagio, geloso e dissoluto, ma affascinante. Egli muore. Pur vivendo una vita di infelicità con lui, ne era intensamente innamorata e ora ne piange la perdita, incapace di dimenticarlo. I suoi
ricordi sono come un sogno ipnotico, un incantesimo morboso, spaventoso e folle. Candelas è inorridita dal pensiero che il morto non sia completamente scomparso, che possa tornare e amarla ancora nel suo modo feroce, ambiguo, sleale e insidioso. Ritorna la primavera e, con essa, l’amore nella persona di Carmelo, un giovane attraente e galante, che la corteggia. Candelas non è riluttante a essere conquistata, e corrisponde al suo amore in modo quasi inconscio, ma la sua ossessione per il passato supera la sua inclinazione per il presente. Quando Carmelo si avvicina a lei e si mette in moto per farle condividere la sua passione, lo Spettro ritorna e terrorizza Candelas per separarla dal suo amante. Non possono scambiarsi il bacio dell’amor perfetto.
In assenza di Carmelo, Candelas langue e crolla; si sente stregata e i suoi amori passati sembrano aleggiare su di lei come pipistrelli maligni Ma l’incantesimo del male deve essere spezzato, e Carmelo crede di aver trovato un rimedio. Una volta era amico dello zingaro il cui spettro perseguita Candela. Sa che l’amante morto era il tipico galante infedele e geloso. Poiché sembra conservare, anche dopo la morte, il suo amore per le belle donne, questa debolezza dovrebbe essere usata per allontanarlo dalla sua gelosia postuma, affinché Carmelo possa scambiare con Candela il bacio perfetto, contro il quale nulla può fare l’incantesimo d’amore.
Carmelo convince Lucia, una bella e affascinante giovane zingara, amica di Candelas, a fingere di accettare il corteggiamento del Fantasma. Lucia accetta per amore di Candelas e anche per curiosità. Trova l’idea di flirtare con un fantasma attraente e originale. Lucia assume il ruolo di sentinella.
Carmelo torna a corteggiare Candelas e il Fantasma incontra l’affascinante Lucia e non può né vuole resistere alla tentazione, incapace di resistere alle attrattive di un bel viso. Nel frattempo, Carmelo riesce a convincere Candelas del suo amore e la vita trionfa sulla morte e sul passato. Infine, gli
amanti si scambiano il bacio che sconfigge l’influenza malvagia del Fantasma, che perisce sconfitto dall’amore.