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Occhi brucianti e voce profonda, Lolita irresistibile, fu la sivigliana appena ventenne Pastora Imperio a ispirare la “gitanerie musicale” di Manuel de Falla che per lei scrisse El amor brujo, pantomima di musica, danza, recitazione e canto che non manca mai di ammaliare lo spettatore tra fuochi fatui che danzano, fiamme d’inferno, esorcismi e sortilegi per riconquistare amori perduti, apparizioni fantasmatiche alla luce di deboli candele. Come era stato per Stravinsky, all’alba del Novecento, la ragione vacilla, il mito, arcaico e classico, ritorna protagonista. E arcaiche sono anche le atmosfere di María de Buenos Aires, opera insolita, combinazione affascinante di tradizione “tanghera”, jazz e musica contemporanea, che fu ispirata dalla nostra Milva. È un sottomondo, quello di María, che “…nacque un giorno che Dio era ubriaco”, fatto di ladri e prostitute, mendicanti e spiritisti eppure a suo modo forte di una dignità altra. Una gitana María – come la Candela di De Falla e la Carmen di Bizet – che si autoproclamerà anima stessa del tango e di Buenos Aires, in un’identificazione totale e intima con le radici profonde di una terra, di una danza e di una città.

Beatrice Venezidirettore
Orchestra Sinfonica Milano Classica

Programma

Astor Piazzolla
Selezione da “María de Buenos Aires”<
Gaspar Cassadò
Requiebros per violoncello e orchestra<
Manuel de Falla 
El amor brujo (suite del 1915)