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Occhi brucianti e voce profonda, Lolita irresistibile, fu la sivigliana appena ventenne Pastora Imperio a ispirare la “gitanerie musicale” di Manuel de Falla che per lei scrisse El amor brujo, pantomima di musica, danza, recitazione e canto che non manca mai di ammaliare lo spettatore tra fuochi fatui che danzano, fiamme d’inferno, esorcismi e sortilegi per riconquistare amori perduti, apparizioni fantasmatiche alla luce di deboli candele. Com’era stato per Stravinsky all’alba del Novecento, la ragione vacilla e il mito arcaico e classico ritorna protagonista.
E arcaiche sono anche le atmosfere di María de Buenos Aires, opera insolita, combinazione affascinante di tradizione tanguera, jazz e musica contemporanea, che fu ispirata dalla nostra Milva. È un sottomondo, quello di María, che «…nacque un giorno che Dio era ubriaco», fatto di ladri e prostitute, mendicanti e spiritisti eppure a suo modo forte di una dignità altra. Una gitana María – come la Candela di De Falla e la Carmen di Bizet – che si autoproclamerà anima stessa del tango e di Buenos Aires, in un’identificazione totale e intima con le radici profonde di una terra, di una danza e di una città.

Orchestra da Camera Milano Classica
Beatrice Venezi, direttore
Elena Belfiore, mezzosoprano

Programma

Astor Piazzolla (1921 – 1992)
Suite da “María de Buenos Aires” (Yo soy Maria, Habanera, Fuga y Misterio)
Gaspar Cassadó (1897 – 1966)
Requiebros per violoncello, archi e pianoforte (arr. MelosFactory)
Violoncello: Cosimo Carovani
Manuel de Falla (1876 – 1946)
El amor brujo (versione originale del 1915)